Rifiuti tossici in Salento, dopo “Cose nostre” partono le indagini

di Marilù Mastrogiovanni

Sono serviti 17 anni, una vittima innocente di mafia, ancora non riconosciuta come tale – Peppino Basile, centinaia di morti per tumore, inchieste giornalistiche inascoltate e un documentario su Rai1, “Cose nostre”, perché le “istituzioni” della provincia di Lecce ammettessero: Si, sotto la più grande discarica del Salento c’è il pcb, un veleno chimico il cui effetto cancerogeno sulle persone è provato, e sì, la falda acquifera è a rischio.

Emilia Brandi, autrice di “Cose nostre”, aveva fatto ruotare il racconto dal titolo “Scacco al Tacco”, attorno a due vicende chiave: lo smaltimento illecito del pcb all’interno di Burgesi, la discarica comunale di Ugento (Lecce) e l’assassinio impunito di Peppino Basile, il consigliere provinciale e comunale dell’Italia dei Valori che la notte prima di morire si recò proprio lì, in contrada Burgesi, per un sopralluogo presso un centro di stoccaggio rifiuti realizzato con soldi pubblici e mai entrato in funzione.

Un mese dopo la messa in onda del 12 novembre, la Procura di Lecce per “motivi di salute pubblica” ha deciso di comunicare ai sindaci che sotto Burgesi è stata accertata la presenta di elevate percentuali di policlorobifenile, un rifiuto industriale tra i più tossici e insmaltibili al mondo: il pcb.

Di quel rifiuto si sapeva tutto: chi l’ha prodotto, chi l’ha utilizzato e per fare che cosa, chi l’ha trasportato, chi l’ha illecitamente buttato nella discarica. Si sapeva con certezza che il pcb era lì, perché la discarica non è stata mai bonificata e perché numerosi fusti di pcb furono rinvenuti, vuoti, all’interno. Ma solo ora, dopo 17 anni, il circo mediatico-politico-giudiziario ha preso il via.

Si sapeva, per esempio, che le aziende responsabili del reato di smaltimento illecito di rifiuti pericolosi sono direttamente riconducibili alla famiglia di uno dei capi storici della sacra corona unita, Giuseppe Scarlino detto Pippi Calamita.

Si sa anche che Gianluigi Rosafio proprietario di quelle aziende, e genero di Pippi Calamita, è stato condannato in via definitiva per lo smaltimento illecito di quel pcb. Ma lui è solo la punta dell’iceberg. Per la figlia del boss, Tiziana Luce Scarlino, i reati sono stati prescritti. Così come sono stati prescritti altri reati per il marito, assolto, dopo un processo di revisione, del reato di mafia, per cui in precedenza era stato condannato.
Furono condannati anche diversi dirigenti e responsabili della Monteco, la ditta che aveva in gestione Burgesi e che ancora oggi gestisce la “post gestione”.Tuttavia nessuno prima di “Cose nostre” aveva avuto il coraggio di mettere in fila i fatti, sparsi e smembrati nella cronaca quotidiana.

Le analisi recentemente condotte su incarico della Procura hanno confermato la presenza di pcb nel terreno sotto la discarica e la presenza di metalli pesanti nei pozzi tutt’intorno.

Il Salento, come spiegava “Cose nostre” è una grande zattera che galleggia su un’unica grande falda acquifera che lo disseta. E oggi, l’intera falda acquifera è a rischio inquinamento da pcb.

Una verità conosciuta ma sottaciuta, finché la squadra di Rai1 non ha squarciato il velo a livello nazionale, illuminando la polvere sotto il tappeto di una periferia dove tutto avviene al chiuso di palazzi “falsi e cortesi”, scenari di piccole grandi trattative con la mafia e i suoi colletti bianchi.

Di questa piccola grande trattativa rimangono alcuni numeri e una certezza: la più alta incidenza in Italia di tumori alla vescica e al polmone e diversi milioni di euro, oggi non quantificabili, che saranno necessari per la bonifica, se mai si potrà portare a termine davvero. E la certezza che l’informazione di qualità può incidere, ancora, rendendo giustizia almeno alla verità dei fatti. E a chi per la verità, ha sacrificato tutto, perfino la vita.