“La sentenza Black Monkey un precedente importante: l’informazione non si tocca”

di Mario Forenza

tizianChi per primo ha scoperto e ha denunciato la presenza della ‘ndrangheta in Emilia Romagna è stato un giornalista calabrese, originario di un piccolo paese della Locride, Bovalino.

Il suo nome è Giovanni Tizian e la sua storia colpisce per alcuni aspetti essenziali: il legame quasi viscerale con la terra d’origine e la voglia di riscattarla dal suo male radicale, un male che si chiama ‘ndrangheta che lo ha costretto, suo malgrado, a lasciare la Calabria e a trasferirsi poco più che bambino a Modena, oltre la linea Gotica. Ci mette poco Giovanni a scoprire che anche qui, nella sua terra d’adozione, si è impiantato quel male oscuro.

Questa storia Giovanni l’ha raccontata nel suo libro-inchiesta, “Gotica”, dove la passione del giornalista e la bravura del narratore coinvolgono dalla prima pagina.

Con Giovanni ci incontrammo la prima volta, nell’aprile del 2012, al Festival di
giornalismo di Perugia. A quel tempo aveva già la scorta, una misura di protezione
che gli ha cambiato la vita. Nel 2011 la Guardia di Finanza intercetta una telefonata tra il boss Nicola Femìa e il faccendiere Guido Torello. La minaccia contro Giovanni è esplicita: “O la smette o gli sparo in bocca”.

Il riferimento è agli articoli pubblicati sulla Gazzetta di Modena, dove Giovanni lavorava come giornalista precario e che molto rumore avevano fatto, puntando i riflettori sul business delle slot machine in Emilia Romagna. La sentenza del processo “Black Monkey” del 22 febbraio scorso riconosce il reato di associazione mafiosa e condanna in primo grado il boss Femìa a 26 anni e 10 mesi di reclusione.

Giovanni, se ti guardi indietro, se guardi alle tue inchieste, prima per la Gazzetta di Modena, poi per L’Espresso, quale emozione provi nel sapere che il tuo lavoro ha contribuito a svelare quello che a molti sembrava impensabile: l’intreccio tra mafia, impresa e politica oltre la linea Gotica?
Solo la sensazione di aver fatto il proprio mestiere. Non dobbiamo mai scordare come categoria di avere una grande responsabilità: fornire gli strumenti  per leggere ciò che accade nella realtà. I nostri lettori si aspettano di capire, di scoprire. Semplicemente di essere informati nel miglior modo possibile.

Hai definito questa sentenza un precedente importante per i giornalisti che si occupano di mafia. Perché?
Perché, per esempio, potrebbe essere utile a chi vive oggi situazioni di minaccia e in futuro magari sarà parte civile nei processi. E poi il messaggio è fondamentale: un tribunale stabilisce che l’informazione non si tocca. Chi lo fa paga le conseguenze.

Che significato può avere questa sentenza su altri processi per mafia al Nord? Ricordiamo che a Bologna si sta celebrando un processo importante contro la ‘ndrangheta: “Aemilia”.
È importante perché viene riconosciuta una cosca dal profilo prettamente imprenditoriale. Legata da vincoli con la ‘ndrangheta, ma allo stesso tempo abbastanza autonoma dalle famiglie residenti in Calabria. Un gruppo mafioso che ha tentato persino di aggiustare un processo in Cassazione pagando 100 mila euro. E ha utilizzato il denaro per entrare nei circuiti che contano. Inoltre aveva il monopolio delle slot. Insomma, riconoscendo questo profilo si riconoscono i tratti più moderni delle mafie: affari, corruzione, autonomia dalla casa madre.

In un articolo pubblicato dal settimanale per il quale lavori, L’Espresso, scrivi che da quando hai la scorta hai dovuto vivere “una vita a metà”. Che cosa hai imparato da questa esperienza?
Che alla fine l’amore di chi ti sta a fianco ti fa superare tutto. E che i clan possono essere sconfitti solo se lasciamo da parte gli egoismi e iniziamo a ragionare come comunità. Non solo, ho avuto la conferma che in questo Paese la lotta alla mafia non è una priorità.

La mafia ha cambiato pelle. E’ diventata sempre meno violenta e sempre più imprenditrice. Come deve cambiare il lavoro del giornalista, secondo te, per tenere testa alle sue continue metamorfosi?
La regola, secondo me, è sempre valida fin dai tempi di Giovanni Falcone: follow the money. Ovunque. Trovati quelli, hai trovato il tesoro e gli agganci con il mondo degli insospettabili.