Gli occhi del cronista: per spiegare e raccontare‏

di Roberta Serdoz

La riflessione sui linguaggi dell’informazione, sull’utilizzo strumentale di alcune parole non può fermarsi davanti a quanto accaduto dopo i funerali del capo clan dei Casamonica a Roma. Quella mattina sul sagrato della chiesa di don Bosco non c’erano telecamere né giornalisti. E anche durante il lungo corteo di auto che seguiva la carrozza trainata dai cavalli con dentro il feretro del boss, la stampa non era presente.

Eppure, filmati amatoriali fatti con i telefoni cellulari sono apparsi ad arte sui giornali on line e nei tg. Né troppo presto, né troppo tardi,sapientemente pronti a coprire tutte le edizioni. Chi ha messo a disposizione dell’informazione quel materiale cosi prezioso per la cronaca della giornata? Gli stessi Casamonica.

Almeno uno dei due filmati risulta essere stato pubblicato dalla famiglia del defunto “ottavo re di Roma”. Le fotografie invece erano state commissionate appositamente, non sappiamo se su “invito” o a pagamento. E così, la strumentalizzazione della stampa è avvenuta secondo copione: nel tardo pomeriggio arrivano i primi video; nelle redazioni ci si affretta a mettere on line quelle che sono le “prime immagini” della giornata. I tg della sera impostano i servizi proprio con quel materiale offerto ad arte. E il gioco è fatto.

Una celebrazione così sfarzosa poteva rimanere segreta? Quale era lo scopo dei Casamonica? A chi avrebbe giovato tanto sfarzo se non amplificato dai notiziari e dalle ribattute continue dei giornali on line?

La velocità dell’informazione non ci ha dato il tempo di riflettere, ancora una volta, sulla strumentalizzazione che si stava compiendo. La notizia andava data, e su questo non ci sono dubbi, ma perché regalare tanto clamore e tanta ulteriore notorietà ad un presunto criminale?

Il commento del prefetto di Roma Gabrielli è esplicito: “e d’altra parte metti su una cerimonia del genere, con 250 automobili,gigantografie, cavalli ed elicotteri e non ottieni nemmeno un tweet?”.

Nell’era del giornalismo 2.0, dove tutto scorre e passa a velocità supersoniche, è indispensabile fermarsi un momento a riflettere sul futuro dell’informazione, e sulle nuove vie da percorrere. Cosa siamo, dove stiamo andando e con quale spirito. La spettacolarizzazione delle notizie ci sta mostrando quanto tutto sia a rischio. A cominciare dall’utilizzo di materiali che potremmo classificare “non professionali”. ù

La mediazione del reporter, dell’inviato sul luogo, resta il punto di forza della nostra professione. Guardare, per conoscere e analizzare i fatti prima di raccontarli è indispensabile per capire e studiare ciò che accade. Sono gli occhi e la curiosità del cronista in prima linea a dare un senso ad una notizia, ad inquadrarla in un determinato contesto, a cogliere e spiegare sfumature e curiosità.

“Ci sono inviati di grande esperienza che vogliono continuare a mettersi in gioco”, scrive Maria Gianniti sul sito dell’Usigrai a proposito dei colleghi della Rai troppe volte bloccati nelle missioni all’estero per motivi di sicurezza. “Certo continueremo a leggere, vedere immagini e ascoltare i rsuoni dei conflitti ma non avremmo più racconti originali”.

La stessa cosa succede in Italia. L’assenza della mediazione, l’occhio del cronista appunto, comporta storture che inevitabilmente scivolano nelle speculazioni. Restano benvenuti i “citizen reporter”, certo, ma non possono e non devono diventare, come sempre più spesso accade, la nostra fonte primaria.

E il Servizio Pubblico, la Rai, deve riuscire a cogliere questo attimo che così palesemente si è mostrato: dalle polemiche sui migranti allo scontro sulle parole usate dalla politica, fino appunto alle immagini del funerale di Casamonica.

“Nel mondo delle notizie che corrono a grande velocità nella rete della comunicazione globale, ogni giornalista deve avere ben chiaro che svolge una funzione di grande responsabilità anche morale, posto che l’informazione assume sempre più una grande importanza per lo sviluppo della personalità dei cittadini, dei singoli come delle comunità, e di conseguenza della vita democratica” scrive su Articolo 21 il neo consigliere della Rai Franco Siddi.

E non dimentichiamoci mai altre parole, quelle di uno dei padri del giornalismo italiano contemporaneo, Indro Montanelli, che durante una lezione all’Università di Torino nel 1997 disse: “Chi di voi vorrà fare il giornalista si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore”.