“Abbiamo stabilito il principio che con i soldi pubblici non si alimenta il precariato”

Il giornalismo nel nostro Paese da una parte si tende a farlo sparire, e parlo dell’impresa privata; dall’altra di controllarlo e mi riferisco al servizio pubblico. La Rai è alle prese con l’ennesima spinta per un cambio ai vertici, con un atteggiamento della politica che mira a confondere l’idea di servizio pubblico con quella di tv di stato. Sui nostri media si parla della necessità di dare rappresentazione tra i vertici Rai della nuova maggioranza che si è imposta nel Paese. La sola maggioranza, schiacciante, uscita anche dalle ultime elezioni è quella degli astenuti.
La tv pubblica di quella maggioranza dovrebbe occuparsi spiegandone le ragioni, indicando le implicazioni di questo fenomeno per la tenuta democratica del nostro Paese.

Un approccio di parte al servizio pubblico rischia di alimentare fazioni anziché aumentare la partecipazione ai processi che alimentano la democrazia. Invece si parla solo di sostituire vertici e direttrici e direttori di tg e reti; non di come dare risorse certe al servizio pubblico ma di come sottrarle togliendo il canone  dalla bolletta, abolirlo o alla meglio metterlo sotto il contro del governo di turno che lo eroga secondo criteri di volta in volta da misurare. L’Usigrai in questi anni, nel contesto che meglio di me hanno descritto diversi colleghi, ha fatto la sua parte per dare risposte concrete al precariato giornalistico di centinaia di colleghe e colleghi.
Lo ha fatto insieme alla Fnsi imponendo in Rai la selezione pubblica come criterio di accesso al lavoro giornalistico.
Un processo di stabilizzazione per le colleghe e i colleghi giornalisti delle reti che hanno potuto mettere fine a precariati decennali. L’ultimo concorso, strutturato per volontà sindacale più che aziendale su base regionale, ha portato lavoro stabile nei territori rafforzando un asset strategico del servizio pubblico  costituito dalle redazione regionali della Rai.
 
Non abbiamo risolto i problemi dell’editoria ma varrà qualcosa aver affermato il principio che con i soldi pubblici non si alimenta il precariato.
Un percorso realizzato in un quadro di unità sindacale che ha visto insieme Fnsi e  associazioni di stampa. Un grazie dunque alla Fnsi, al sindacato, dal Direttore, al Segretario, al presidente della Federazione Beppe Giulietti che in questi anni, in cui si è cercato di mettere ai margini il giornalismo in questo paese, sul piano dei contratti e su quello della rilevanza sociale, ha tenuto alti i temi della libertà di informazione e dei diritti civili.
Dalla repressione della libertà in Iran alla vicenda Assange, più vicina di quanto appaia; alla tutela dei nostri diritti; alle querele bavaglio che con la loro violenza, vogliono ridurre al silenzio l’informazione per trasformarla al massimo in comunicazione. Il tema della pace, a forza espunto dai nostri media, pena l’essere indicati come voci alzate contro la libertà. Il sindacato che oggi ringrazio e che auspico esca da questo Congresso è dunque lo stesso che sul tema della libertà di espressione non ha consentito in questi anni si consumasse il tentativo, più volte tentato, di mettere il giornalismo del nostro Paese ai margini della società civile.