#WPFD: In guerra e in pace il giornalismo di frontiera è un mestiere difficile

Oggi la giornata mondiale della libertà di stampa, per i giornalisti italiani è motivo di una dedica particolare ai reporter  impegnati nei teatri di guerra per raccontarla dopo averla direttamente indagata, sfuggendo a fonti interessate o inquinate.

Il primo pensiero allora va a Domenico Quirico, inviato de La Stampa in Siria, del quale da quasi un mese non si hanno notizie e per il quale oggi tutti esponiamo il fiocco giallo come simbolo dell’attesa di un buon ritorno alla sua famiglia e tra i suoi colleghi.

Mancano, però, notizie da tempo anche di quattro colleghi stranieri impegnati nella ricerca e nella verifica sul campo di fatti e circostanze che stanno insanguinando una terra e un popolo, negli scontri tra regime e rivoltosi. Domenico Quirico è un ottima giornalista, un testimone di verità. Essere così, però, disturba nelle guerre ed è motivo spesso di minaccia e intimidazione laddove ci siano infiltrazioni mafiose o grandi fenomeni malavitosi.

In guerra e in pace il giornalismo di frontiera è un mestiere difficile, esposto a gravi rischi, non sempre rispettato, per la funzione che rappresenta. Ecco allora che il 20° anniversario della Giornata Unesco per la libertà è la sicurezza dei giornalisti e dei media e un’occasione per riproporre il senso di un lavoro professionale che – esercitato correttamente e con il criterio della verità – è un bene pubblico.

I giornalisti testimoni sono operatori di civiltà democratica, promotori di un’opinione pubblica libera  indispensabile per l’affermazione dei diritti dei cittadini. Non sono nemici. Non sappiamo se Quirico sia stato fermato da qualche fazione o gruppo armato e se questo sia il motivo del suo silenzio. Sappiamo, però, che Quirico non può essere un bersaglio della violenza. Se così fosse, starebbe subendo un danno ingiusto per sé e per la vita comunitaria.

E‘ sempre così quando  viene preso di mira, intimidito, minacciato, impedito a parlare e scrivere un giornalista e, ancora peggio, quando qualcuno viene ucciso per impedirgli di continuare la sua testimonianza. Sono quasi 600 i giornalisti morti negli ultimi cinque anni e sono 40 dall’inizio dell’anno.

Attentati, minacce e intimidazioni di vario genere si contano a migliaia, a centinaia anche nel nostro Paese, come documenta puntualmente l’0sservatorio”Ossigeno” voluto da Ordine dei giornalisti e Federazione Nazionale della Stampa, animato dal collega Alberto Spampinato e da un comitato di garanti. Tanti sono anche giornalisti italiani caduti negli ultimi quarant’anni, non solo nei teatri di guerra, da Cutuli, a Ilaria Alpi a Hrovatin , Ciriello, Baldoni, Antonio Russo. E ancora Italo Toni e Graziella De Palo, Almerigo Grilz, Guido Puletti, Marco Lucchetta, Alessandro Ota, Dario D’Angelo Gabriel Gruener, Vittorio  Arrigoni e altri ancora. Ma l’elenco è ancora lungo e annovera, sempre in Italia, i caduti per mano della mafia o della camorra (da De Mauro a Fava, da Impastato a Spampinato, da Beppe Alfano a Cosimo Cristina, da Giancarlo Siani a Mario Francese e Mauro Rostagno), gli assassinati dal terrorismo politico, come Carlo Casalegno e Walter Tobagi.

Proprio nella terra natale di Tobagi e di Enzo Baldoni, in Umbria,  oggi, con l’Unione nazionale Cronisti Italiani, l’Ordine professionale e l’Associazione della Stampa Umbra, con i Sindacati di base come l’Usigrai, la Fnsi nel ricordo dei colleghi caduti rilancia l’impegno per la sicurezza e la libertà dei media e dei giornalisti nel mondo. Lo fa insieme con la Federazione europea (Efj) e con la Federazione Internazionale (Ifj). Con le due organizzazioni internazionali, quella europea e quella mondiale, appunto, il Sindacato unitario dei giornalisti italiani sta promuovendo una rete di conoscenza e solidarietà specifica per Quirico perché sia chiaro a tutte le parti in causa  nel teatro in cui stava operando che è un uomo della libertà e dei diritti umani, un testimone professionale di verità, un operatore che con il suo lavoro può solo promuovere la convivenza civile.

Con le stesse organizzazioni internazionali di categoria c’è, inoltre, un impegno diffuso a implementare i piani di azione per la sicurezza dei giornalisti nel mondo e la lotta contro l’impunità affinché gli attacchi e le violenze contro i media e i giornalisti siano considerati crimini contro l’umanità, in quanto negano i diritti dei cittadini ad una libera formazione delle opinioni.

Si tratta di una giornata, quindi, densa di significati, di propositi e di contenuti, ben oltre l’impatto di una giornata di memoria, di richiamo, di azione pubblica.

Data l’emergenza sicurezza, sembrano quasi passare in secondo piano altri temi che pure sono compresi tra i valori che animano la 20a giornata dell’Unesco per la libertà dell’informazione: la dignità e la qualità del lavoro, messi a dura prova dalla crisi e dalla precarietà crescente. La Fnsi con la Federazione europea dei Giornalisti condivide la preoccupazione per le migliaia di giornalisti che nel vecchi continente hanno perso il lavoro negli ultimi mesi oppure sono stati ridotti a condizioni di lavoro precarie.

“Precarietà e mancanza di investimenti in risorse umane hanno un impatto pesante sulla qualità dell’informazione e della libertà di stampa” ha opportunamente osservato il Presidente della Efj, Arne Konig: “ non è possibile avere mezzi di informazione liberi e informazione di qualità se si trascurano i professionisti da dedicare all’osservazione, all’indagine, al lavoro sul campo, per informare correttamente il pubblico.

Nel contesto economico che viviamo  la libertà di stampa corre il rischio anche laddove non si finisce direttamente nella traiettoria del fuoco degli eserciti o dei gruppi armati. C’è bisogno di diffondere, alla luce di tutti questi problemi, una cultura di rispetto dell’informazione accanto al rafforzamento di un giornalismo fondato su robuste basi etiche, che consideri i cittadini i veri proprietari di questo bene.

Franco Siddi, segretario FNSI